Oratorio di San Giuseppe

al Lazzaretto

Fra i luoghi storici che Sant’Angelo conserva, occupa un posto importante la chiesa del Lazzaretto: «fabbricato, posto sulla sommità d’una collinetta dominante il Lambro» (cfr. Pedrazzini Sobacchi “Brevi cenni storici...”, Sant’Angelo, 1897).

Ma cosa significa il termine “lazzaretto”, e perché un luogo chiamato così anche a Sant’Angelo?
La costruzione di questi edifici si diffuse di pari passo col susseguirsi di terribili pestilenze che caratterizzarono tutta l’Italia dal XV sino al XVIII secolo; erano luoghi ubicati al di fuori delle mura delle città e avevano lo scopo di isolare e ricoverare i malati pericolosi per la contagiosità del male di cui erano affetti. Terribile fu la peste che devastò Milano e il suo ducato dal 1629 al 1632, resa popolare e tramandata fino ai nostri giorni da una copiosa letteratura; in modo particolare da Alessandro Manzoni. E’ appunto di quegli anni la prima notizia che testimonia l’esistenza di un luogo denominato “Lazzaretto” anche a Sant’Angelo. Monsignor Nicola De Martino, riporta il seguente documento dell'Archivio parrocchiale: «Il 5 luglio 1630 i delegati di sanità del nostro paese fanno istanza al parroco (essendo morto un tale sospetto di contagio e sepolto fuori chiesa) perché sia benedetto un altro luogo da noi, nuovamente ritrovato più opportuno sì per essere cinto dalle acque si anco per avere annesse case capaci per i monatti» (cfr. Mons. Nicola De Martino “Sant'Angelo e il suo Castello”, Lodi, 1958). Ma, a differenza dei “Lazzaretti” costruiti nelle città, quello del nostro Borgo fu, come molti altri situati nei piccoli paesi, uno spazio destinato solamente alla sepoltura dei morti di contagio della peste del 1630 e di quella ripetutasi nel 1700. In seguito fu anche destinato ad accogliere i resti mortali dei sepolti nella chiesa parrocchiale, in ottemperanza agli ordini vescovili del 3 ottobre 1680 e 1713 (cfr. Mons. Nicola De Martino “Sant'Angelo e il suo Castello”, Lodi, 1958).

La costruzione della chiesa
È da ritenersi che la primitiva cappella del Lazzaretto (cui era annesso un piccolo cimitero), fosse molto fatiscente e di modeste dimensioni, perché in una lettera del 5 Maggio 1714, il Rettore Giuseppe Senna chiede al Vescovo di Lodi la licenza di «fare redificare, ed amplificare una certa Capelletta cadente della Madonna situata in S. Angelo nel luogho del Lazaretto, dove ha promosso una devotione verso li poveri defunti per maggiormente animare il popolo, che colà si ritrova a suffragare li medesimi».
La riedificazione della Cappella doveva limitarsi solamente al corpo centrale, il sopralzo della sacristia e il campanile sarebbero stati costruiti dodici anni più tardi, come risulta dal registro delle spese negli anni che vanno dal 1714 al 1744.
In data 15 maggio 1726, è annotato quanto segue: «Per aver comprato 6000 pietre dal Sig. Sangallo di Vimagano per far la camerina sopra la sacristia e alzar un piccolo Campanile in triangolo, una cinta davanti la Sacristia». In un libro dal titolo «Registro dell’elemosina scossa per la Reedificatione et amplificatione della Capella de morti, vulgo chiamata la Madona al Lazaretto intitolata a S. Giuseppe il dì 10 Giugno del Deposito della Prima Pietra, Anno 1714», sono annotate le entrate dal giugno 1714 al dicembre 1744, che sono di vario tipo: libere offerte; vendita di prodotti vari quali: lino, melegone, moggie di formentada; questua del grano; raccolta dalle bussole poste nella chiesa ed in alcune osterie del borgo, fra le quali l’osteria della Catena e l’osteria del Sole. La raccolta di elemosine avveniva anche durante il mercato che si teneva nel Borgo; nel registro sopra citato, si legge: «Questuato conbacila per il mercato L. 6.10».
Nel dicembre 1720, si riferisce di offerte raccolte durante tre processioni, al Lazzaretto, alla Chiesa dei Cappuccini e alla Chiesa di S. Rocco, con la seguente annotazione «(e queste tre processioni di penitenza sono state fatte d’ordine del Vescovo di Lodi per implorare la liberazione dalla peste di Marsiglia molto sospetta nel nostro Stato».
Altre entrate erano costituite dalle celebrazione di S. Messe in suffragio dei defunti, che erano in media una trentina all’anno, nel registro, appaiono parecchi nomi di offerenti santangiolini, fra i quali una certa Madalena Barazza, annotato nel maggio 1723, che dimostra con certezza, l’esistenza nel nostro borgo di questa famiglia, per tradizione antagonista dei feudatari Bolognini. Ma tutte queste entrate non erano sufficienti a coprire le spese di ristrutturazione dell’edificio, perciò i «Deputati al Lazaretto» ricorsero in alcuni casi all’aiuto dei Conti Bolognini: «20 Gennaio 1717 - per n° 10 Moggia di formentada ricevuta in imprestito dal ill.mo Sig. Attendolo Bolognino per necessità di pagar li creditori con obbligo di pagarla nel termine della
scrittura fatta con l’interdette condittioni di quelle».
Cent’anni dopo, la Fabbriceria della Parrocchiale di Sant’Angelo in data 6 gennaio 1869, approvando il rendiconto degli anni 1867-68, invitava il signor Francesco Trabucchi, amministratore dell’Oratorio del Lazzaretto, a versare il fondo di cassa di L.583,12, in considerazione delle ristrettezze economiche in cui versava la Chiesa Parrocchiale (cfr. Archivio parrocchiale).
Nel 1887 la cappelletta fu restaurata e dipinta dal pittore Toscani di Sant’Angelo (cfr. Pedrazzini Sobacchi “Brevi cenni storici....”, Sant’Angelo, 1897).
La devozione ai morti del Lazzaretto e a San Giuseppe era molto diffusa non solo a Sant’Angelo, ma anche in tutto il territorio, tanto che il 3 giugno 1872 il Parroco supplica il vescovo di Lodi di chiedere alla Santa Sede l’Indulgenza plenaria.
Il 6 giugno 1872 dalla Curia vescovile giunge a monsignor Dedè questa lettera: «Sono lieto di significarle che il nostro Ill.mo e Rev.mo Vescovo annuisce ben volentieri che si ricorra alla Santa Sede onde ottenere di lucrare la Plenaria Indulgenza a tutti coloro che nella III Domenica dopo Pasqua visiteranno il pubblico Oratorio del Lazzaretto in codesto Borgo, oratorio dedicato al glorioso Patriarca della Chiesa Cattolica S. Giuseppe. Ed io inoltrerò a Roma il relativo ricorso». Pochi giorni dopo, il 23 giugno, dal Cancelliere vescovile arriva l’attesa risposta: «Sono lietissimo di farle avere qui unito il Rescritto dalla Santa Sede a favore della Chiesa detta del Lazzaretto». L’Indulgenza avrà validità per sette anni, rinnovata nel 1879, per un altro settennio (cfr. Archivio parrocchiale).

Le ultime vicende
Gli inizi del 1900, vedono la chiesa del Lazzaretto un poco abbandonata a se stessa, anche se la devozione dei santangiolini verso “i morti del Lazzaretto” non si affievolisce. La celebrazione delle Sante Messe si riduce ad una sola volta all’anno, in occasione della festa del Patrocinio di San Giuseppe.
Nel 1931, è costruita la circonvallazione che isola la chiesa oltre la nuova arteria stradale, quasi estraniandola dal contesto urbano di Sant’Angelo.
Con la Novena dei Morti, nell'ottobre 1944, si inaugurano importanti interventi alla chiesa del Lazzaretto. Sono sistemate le due cappellette laterali, di cui, quella a sinistra della chiesa, viene adibita a raccogliere i resti dei morti. I lavori sono eseguiti dalla ditta Merli e la decorazione è opera del prof. Taragni di Bergamo. La spesa per questi lavori è quasi interamente sostenuta dal sig. Angelo Pasetti. Al centro dell'abside viene collocato un antico crocifisso, dono del sig. Pelli appartenuto allo zio mons. Pio Pelli, morto a Lodi nel marzo dello stesso anno.
Nel 1955, il Pontefice Pio XII istituisce la festività di San Giuseppe artigiano, dando alla tradizionale “Festa del Lavoro” del 1° maggio anche un significato religioso. Il parroco monsignor Giuseppe Molti, fissa la festività alla chiesa del Lazzaretto, rinnovando il fervore dei fedeli verso questo grande Santo e la chiesa a lui dedicata.
Nel giugno 1982, il parroco monsignor Antonio Gaboardi decide per il restauro dell’intero fabbricato del Lazzaretto, confortato dai santangiolini che, contribuiscono generosi all’iniziativa. La direzione dei lavori è affidata all’architetto Paolo Mascheroni che, al termine dei lavori, sulla scorta di elementi scaturiti in occasione dei restauri, redige un'interessante relazione: «La chiesetta composta di una sola navata, riporta inconfondibili i caratteri costruttivi ed il gusto dell’epoca “tardobarocca”, interpretati, quasi a sottolineare la drammaticità di quegli anni “duri”, con il contenimento dello sfarzo ad essi correlato» (cfr. “La Cordata”, gennaio 1983).

Fonte: Modificato dall’articolo de“La Cordata” Aprile 2020, a cura Antonio Saletta